L’Evento

Il 19 Settembre 2015, presso l’Istituto “Santa Maria della Pietà” di Sestiere Castello, Venezia, l’associazione “Visione Globale”, diretta dal Prof. Rosario Caserta, ha inaugurato il nuovo padiglione “VISIONE GLOBALE”. Oltre ad illustrare le attività didattiche e formative, l’associazione è stata promotrice della mostra “Contaminazioni post-moderne”.

Un importantissimo evento culturale che ha ospitato artisti di prestigio internazionale e mondiale. I Maestri Alfredo Prado, agrigentino (grafiche) e Domenico Boscia, di Motta d’Affermo (ceramiche), che da tempo e sempre con grande successo si impongono nel panorama culturale italiano, hanno fatto mostra del proprio estro creativo e delle ricercate tecniche artistiche che tanto richiamano i caldi colori e gli antichi incanti della Sicilia.

Lo storico evento è stato finemente realizzato sotto la Direzione artistica del Prof. Rosario Caserta e presentato dallo scrittore-giornalista e critico internazionale d’arte e letteratura Prof. Nuccio Mula, con il patrocinio dell’Associazione “Visione Globale D.E.A.M.S.– Demo, Etno, Arte, Musica e Spettacolo” di Venezia e dell’Accademia di Belle Arti “Michelangelo” di Agrigento.

Gli Artisti

Guardo le opere grafiche di Alfredo Prado e vedo una mano che, pur conservando dentro la sua sapienza tecniche e precisione, se ne serve per superare queste e ogni ordine possibile, e traccia libera, come mai si era visto in grafica, segni felici.

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    Il Maestro Alfredo Prado
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    Il Maestro Domenica Boscia

Felici e irridenti. Poiché con Prado il linguaggio irride se stesso. I segni che guardiamo sono la rottura sorprendente di ogni forma, di ogni ordine formale. Sono il grido dirompente (e pieno di echi) che squarcia l’ordine della composizione linguistica, l’ordine della sintassi e ritorna alla semplicità quasi infantile, elementare e vitale, del suono primitivo.

Quei segni, nella loro spontaneità, nella loro velocità, sono linee di rotture e di fuga: ciò che viene rotto e dal quale si fugge è la cattiva coscienza del linguaggio coerente.

In arte ogni affermazione, ogni frase, ogni figura espressa su tela o altro, ogni forma, appena prodotta, porta dentro di sé qualcosa di infelice, di falso. Qualcosa la forma ha ucciso appena si è formata. Per quanto straordinaria e bella, ogni forma tradisce qualcosa appena assume una definizione.

Davanti alle opere grafiche di Alfredo Prado questa sensazione scompare, perché qui la bellezza nasce senza sforzo e senza calcolo. Bellezza indecente. Liberatoria e aperta, come la risata contagiosa sfuggita a un mago…”.

Ceramista, pittore e scultore, Domenico Boscia è soprattutto un filosofo che usa materiali tracciati da orme siciliane. Tele, ceramiche, pietra vulcanica, servono a nascondere pudicamente un’abilità nel disegno che altri ostenterebbero.

I suoi segni, infatti, approdati sul palcoscenico della sicilianità, perderebbero inesorabilmente la loro natura, la loro regale terribilità. Incarnandosi nella maschera dell’avanguardismo, l’arte cessa di far paura per divenire un “buffo” di corte. È la sorte degli arlecchini, dei pulcinella nel passaggio metamorfico dal mito al teatro: come l’albatro di Baudelaire che finisce sul ponte della nave. Non più protetta dall’orizzonte mitico-rituale l’arte appare pronta a subire la comprensione del critico, la sua ufficializzazione nel museo, la sua evirazione nel riconoscimento dell’autorità politica.

Al contrario, nel “laboratorio” del maestro Boscia niente è mai finito (nel senso dell’irraggiungibile e non del “work-in-progress”) e ci sono disseminati impedimenti, oggetti che resistono a qualsiasi funzione, corpi cinematici, contraffazione della dissomiglianza dell’uguale. Non si tratta di “arti applicate” o di prelievi dalla realtà utilizzati nell’arte (o, perlomeno, non solo di questo) ma della dissipazione del sé e del proprio mondo, che Boscia si porta addosso come un Diogene ambulante, come un filosofo esistenzialista. Arte come dépense.